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17/5/2007 (7:41) - LETTERA A DON MILANI
La sua utopia si è realizzata, purtroppo
Oggi nessuno sa più niente, né poveri né ricchi
PAOLA MASTROCOLA
Caro don Milani, rileggere oggi il suo libro, mi creda, è illuminante e
anche un tantino inquietante: ci aiuta a capire che la scuola di oggi è
esattamente la scuola che voleva lei quarant'anni fa. Ma ci chiediamo se
forse non sia per questo che non funziona più tanto: perché nel frattempo
sono passati quarant'anni…
Dunque, nel suo libro Gianni era il figlio del contadino, Pierino il figlio
del dottore. Gianni era definito un delinquente dai professori, perché «era
svagato e non amava i libri». Pierino andava benissimo a scuola perché era
uno dei «signorini esperti nel frigger aria». «Gianni non sapeva mettere
l'acca al verbo avere, ma del mondo dei grandi sapeva tante cose». Nella
Costituzione sta scritto che tutti i cittadini sono eguali senza distinzione
di lingua, ma la scuola di allora «aveva più in onore la grammatica che la
Costituzione». Gianni non sapeva esprimersi in una lingua corretta, perché
«le lingue le creano i poveri ma i ricchi le cristallizzano per poter
sfottere chi non parla come loro, o per bocciarlo».
Il ragazzino che scrive la lettera alla professoressa diceva che la scuola
di allora era classista e razzista. La cultura, stessa cosa: era classista e
razzista. Non c'era posto per i figli dei contadini. Perché non fossero
sempre esclusi dall'istruzione, il ragazzino chiedeva di cambiare la scuola.
Chiedeva parecchie cose, tra cui: di non interrogare sulle poesie di Foscolo
perché Foscolo scrive parole difficili, come inaugurare che vuole dire
augurare male: «C'è scritto nella nota. Ma è una bugia. L'ha inventata il
Foscolo perché non voleva bene ai poveri»; di non mettere più in
programma l'Eneide, perché è scritto in una «lingua nata morta»; di non
fare l'Iliade nella traduzione del Monti, perché «il Monti chi è? uno che
ha qualcosa da dirci? uno che parla la lingua che occorre a noi?». Gianni,
il figlio del contadino, è andato via da scuola a 15 anni e lavora in
officina, «non ha bisogno di sapere se è stato Giove a partorire Minerva o
viceversa. Nel programma d'italiano ci stava meglio il contratto dei
metalmeccanici».
Era il 1967. Quarant'anni dopo possiamo dirle che abbiamo esaudito quasi
completamente le richieste di quel suo ragazzino, e questa notizia di sicuro
le farà piacere; a parte il contratto dei metalmeccanici che non so se
abbiamo messo davvero nei programmi (personalmente spero di no), per il
resto sono sicura: studiamo abbastanza la Costituzione e pochissimo la
grammatica; siamo completamente indifferenti alle acca del verbo avere; non
bocciamo quasi nessuno; il Foscolo lo facciamo poco, giusto al triennio dei
licei; e il Monti nessuno più sa chi sia perché abbiamo approntato
meravigliose versioni in prosa dell'Iliade, scritte in uno stupendo stile
quotidiano corrente. Più o meno la lingua che usiamo per andare a comprare
il pane.
Il problema è che, così facendo, qui da noi nessuno sa più niente e
nessuno ha più voglia di studiare. Nessuno, né i poveri né i ricchi. E
questa seconda notizia non so se le farà piacere. Viste le condizioni in
cui siamo, mi sono fatta l'idea che sarebbe il caso di ripristinare l'Iliade
del Monti. E anche di studiare molto il latino proprio perché è una lingua
morta, e fare molta grammatica, e leggere molto Foscolo con le note (come può
dire che non amava i poveri, cosa significa?). Mi scusi se oso dirle queste
cose, ma sa, l'Iliade del Monti è infinitamente più bella di tutte le
versioni piatte e prosaiche che noi (demagoghi e vigliacchi!) ci siamo
inventati per rendere Omero a portata di tutti; e i ragazzi lo sanno: tra un
pezzo del Monti e un pezzo del traduttore postmoderno non hanno dubbi,
scelgono il Monti.
Ma soprattutto sarebbe bene tornare alla sua Iliade proprio perché è
difficile, e i nostri giovani hanno ora più che mai bisogno di incontrare
la difficoltà, dal momento che vivono in un mondo dove tutto è diventato
facile e dunque tremendamente insignificante e ben poco gratificante.
Io non lo so perché la letteratura sia stata giudicata così elitaria e
impopolare e poco democratica, ma non lo è, mi creda, e dovremmo una buona
volta liberarci di questo sacro tabù mistificante. Non possiamo continuare
a offrire ai giovani del cibo premasticato, con l'idea che così fanno meno
fatica e ci arrivano tutti. Questa è finta democrazia. E soprattutto
produce due cose: ignoranza e un'infinita tristezza (un panino al prosciutto
sminuzzato e ridotto in pillole non sa più di niente, è vomitevolmente
sciapo: lei lo mangerebbe mai?). Fatica, difficoltà e bellezza sono le cose
che dobbiamo reintrodurre nella scuola. Solo la fatica di spaccarsi la testa
su un libro difficile renderà i nostri giovani culturalmente forti, e
quindi preparati ad affrontare la vita e il lavoro.
E solo la bellezza (delle parole del Monti, per esempio!) li convincerà che
vale la pena di farla, quella fatica.
Io lo so che lei è stato molto amato perché dava voce ai poveri contadini
e ai loro figli, esclusi dalla cultura classista dei Pierini figli dei
ricchi dottori e professori. E così era logico che fosse (anche se mi
disturba un po' veder grondare a ogni riga del suo libro tanto odio di
classe…). Allora, forse, era anche giusto. Ma credo che oggi lei
scriverebbe un altro libro, molto diverso, perché vedrebbe con chiarezza
che è proprio la finta democrazia del
dumbing down
(è una parola inglese che usiamo per dire la semplificazione eccessiva di
tutto) a creare diseguaglianza sociale, privilegiando i ricchi ben forniti
di denaro e relazioni utili, e togliendo ai poveri la loro unica arma
possibile: un'istruzione alta; è proprio in questa scuola rasoterra che
vincono i Pierini più e meglio di prima, stracciando i Gianni 10 a 0, e per
di più senza fatica alcuna. E lei questo non l'avrebbe voluto.
Sì, credo che oggi lei sarebbe il primo a invertire la rotta.